La tappa italiana del tour che accompagna dei padrini del death made in Usa Cannibal Corpse è un evento al quale non si può mancare. La band americana è accompagnata per l’occasione dai più giovani Black Dahlia Murder. E’ proprio la band capitanata da Trevor Strnad a rappresentare la prima gradita sorpresa della serata. Il quintetto, ormai da anni sulle scene e fautori di un death melodico arricchito di parti technical e breackdown moderni spaccaossa, nell’ora a disposizione regala un concerto veramente ben confezionato. La vera anima della band è il già citato frontman, personaggio che sul palco è impossibile non amare. Occhiali da vista, aspetto da nerd un po’ outsider, il buon Trevor sembra una pallina da ping pong on stage. Molti sono i chilometri macinati dal cantante mentre sputa liriche tra growl profondi e ottimi scream che esaltano il pubblico già molto numeroso. I brani tratti dall’ultimo lavoro Nightbringers, targato 2017, funzionano molto bene dal vivo e la band sembra prendere sempre più fiducia con il proseguire della scaletta. Le chitarre affidate alla coppia Eschbach / Ellis costruiscono fraseggi ora violenti, ora melodici, arrivando a fare esplodere e saltare l’audience su pezzi come Matriarch e la violenta Catacomb Hecatomb. Se all’inizio poteva sembrare che accostare due band cosi’ diverse tra loro potesse essere un azzardo, alla fine ci si è accorti anche durante il set degli headliner, che tale scelta è risultata sicuramente vincente.
Ed ecco che alle 22.00 in punto la band caposcuola del brutal death USA appare sul palco in tutta la sua maestosità. L’opener è affidata al singolo che ha aperto la strada al nuovo disco Red before Death, ovvero la thrashy Code of the Slashers, accolta da un boato dall’audience presente. Precisione chirurgica, compattezza sonora, una macchina da guerra: questi sono le metafore che si possono utilizzare per descrivere uno show dei Cannibal Corpse nel 2018 dopo più di trent’anni di attività. George Fisher ancora più mastodontico, probabilmente con qualche acciacco fisico dato dalla mole (il cantante sembrava zoppicare vistosamente durante lo show), il mitico Alex Webster, mostro al basso con una barba e una criniera che inizia ad imbiancare, la coppia O’Brien / Bennett che si dimostrano essere due delle migliori chitarre death al mondo, un Mazurkiewic dietro le pelli che non perde un colpo. Questi sono i Cannibal Corpse signori, e anche oggi non lasciano prigonieri. La scaletta alterna brani recenti a canzoni d’annata, e sono proprio queste ultime a creare un pogo enorme tra il pubblico. Tra chiome roteanti e adrenalina a mille, pietre miliari come The Wretched Spawn e Gutted sono i mezzi con i quali la band attacca di soppiatto l’audience. Ma è a metà scaletta che il concerto prende definitivamente la giusta piega. Il quintetto cala il poker vincente con quattro brani che ogni fan del death metal deve per forza consocere. Stiamo parlando di Devoured by Vermin, A skull full of Maggots, I Cum Blood e Make them suffer. Quattro canzoni che mettono letteralmente a ferro e fuoco un Live Club strapieno. Fisher regala sorrisi come da copione alle prime file, scherza e si diverte. La ciliegina sulla torta di uno show con i fiocchi è l’apparizione di Trevor Strnad degli opener Black Dalhlia Murder che, sulle note marce di Stripped, Raped and Strangled duetta con un George divertito e in palla. Un set più breve del solito, poco più di un’ora e dieci di musica, si conclude con l’inno death della band, quella Hammer Smashed Face che lanciarono definitivamente il gruppo nell’Olimpo del Metal nel lontanissimo 1992.
In conclusione: uno show dei Cannibal Corpse rappresenta, ancora oggi, la quintessenza del death metal. L’attitudine old school della band americana è rimasta intatta per decenni e la passione e la coerenza musicale immutata. Oggi sono molte le band del genere che cercano di aggiungere orpelli, trucchi e trovate sceniche per attirare il pubblico. M i Cannibal Corpse dimostrano, per l’ennesima volta, qual’è l’ingrediente segreto del successo: la passione per la Musica, quella con la “M” maiuscola.
Devastanti.
Report a cura di Manuel Molteni
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