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Opeth + Alcest - 11/3/2014 - Alcatraz - Milano

Arriviamo intorno alle 18.00 sotto una fastidiosa pioggia autunnale nei pressi dell’Alcatraz di Milano, che per questa sera è stato scelto come teatro per la discesa italica dei grandi Opeth, e subito si capisce che i cinque svedesi rimangono una delle band più amate dai fan italiani, a giudicare dalla coda di persone in fila un’ora prima dell’apertura dei cancelli.
Puntuali come un orologio svizzero alle 19.45 salgono sul pasco i francesi Alcest, capitanati dal frontman Neige, padrino della scena post black shoegaze.

La proposta musicale dei transalpini è basata su sonorità semplici ed allo stesso tempo molto avvolgenti, e creano una grande atmosfera utilizzando feedback, flanger, chorus in maniera molto intelligente, rendendo i pezzi dei “viaggi” sonici di grande impatto. Chiaramente per poter ottenere tale effetto in sede live, è necessario avere dei suoni impeccabili: e qui la prima grande sorpresa della serata! I suoni che escono dall’impianto dell’Alcatraz durante questa esibizione sono decisamente potenti e cristallini, e i circa trecento metalheads sotto il palco rimangono come ipnotizzati da pezzi sognanti come “Là où naissent les couleurs nouvelles” o la acclamata “Autre temps”, e si nota che probabilmente anche i musicisti in questione non si aspettavano una tale risposta dall’audience: pertanto i tre quarti d’ora a loro dedicati sembrano volare, tra melodie di chitarre acustiche, sognanti armonizzazioni distorte e un’ottima prestazione del combo francese, soprattutto a livello emotivo.

Terminata l’esibizione degli Alcest, guardandosi intorno si vede un Alcatraz pieno di persone, e chiaramente si percepisce l’emozione dell’attesa dei maestri del prog death scandinavo.

E alle 21.00 ecco che le note di “Eternal Rains Will Come “, tratta dall’ultimo album Pale Communion, fanno scoppiare in un boato un Alcatraz ormai strapieno. Anche in questo caso un ottima acustica e suoni accompagnano la prova degli “almighty Opeth”, come annunciati dal buon Neige!

Potenza, violenza sonora, precisione cristallina, ed un istrionico Michael Akerfeld sono gli ingredienti principali dello show, che propone pezzi complessi, dal taglio sicuramente prog, come un malato incrocio tra sonorità ’70 e death metal scandinavo degli anni ’90. Cambi di tempo e groove eccezionale sono il pane quotidiano della sezione ritmica Axenrot/Mendez, che fanno da tappeto agli assoli di Fredrik Åkesson e Akerfeldt.
Maestro di cerimonie e sempre sugli scudi, sia per la prestazione vocale che alla chitarra, il buon Michael presenta i pezzi come “Advent” o l’epica “The Devil’s Orchard” tra battute di humour tipicamente inglese e simpatici teatrini che strappano delle sane risate ai metalhead presenti.
Subito dopo la black song April Ethereal, targata 1998 (!) ecco il colpo di scena che non ti aspetti. L’imponente drumkit di Axenrot presenta dei problemi tecnici, e lo show sembra avere uno stop improvviso. Ma è qui che le doti di frontman di Michele (così battezzato dai cori dei fans) salva alla grande la situazione, proponendo una sorta di karaoke metal acustico, dove i ritornelli di “Harvest” e “Face of Melinda” sono cantati a squarciagola dal pubblico: un momento epico e fuori programma, che però ha reso lo show unico.

Dopo poco più di due ore di assalto sonoro lo show degli svedesi termina con la conclusiva “Deliverance” tra headbanging furiosi e tonnellate di sorrisi tra il pubblico. E sono forse questi sorrisi che più mi hanno colpito durante questa serata: il popolo metal si è dimostrato ancora una volta molto educato e con una sana voglia di divertirsi, con due ottime band che hanno interagito alla grande con i fan, all’insegna della buona musica.

Per concludere l’ennesima considerazione sulla location: un plauso ai fonici del locale, perché sono riusciti a rendere memorabile questo concerto regalando suoni veramente all’altezza dei piccoli mostri sacri che hanno calcato le assi del palco.

Hail Alcatraz, hail mighty Opeth!

Report a cura di Manuel Molteni

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