Per qualche strano motivo quando c’è da andare a vedere qualche concerto riesco sempre a perdermi o fare il doppio della strada necessaria. Ovviamente nessuna eccezione neppure per i (personalmente mooolto attesi) W.A.S.P., ma come la sete di conoscenza di Odisseo era implacabile, così è la mia risoluzione. Per fortuna io ed i miei commilitoni ci siamo presi per tempo e, nonostante il giro panoramico di 15 km per le campagne trevigiane (facevamo pure da auto-guida per un altro tizio di cui sicuramente riceveremo i ringraziamenti a casa) siamo arrivati al New Age poco prima dell’ orario indicato come “Inizio Spettacolo”. Sinceramente non mi aspettavo tanta calca, tutto sommato Blackie è un idolo si, ma di nicchia, ma le mie aspettative sono state disattese all’ ingresso nel locale.
Il posto è abbastanza un buco gremito di gente, con un’ ottima colonna posta a circa 3\4 del palco sulla quale quotidianamente si scaricano le maledizioni dei fortunelli che ci capitano dietro (e lei ride beffarda); a parte questo, ciò che attira l’attenzione è un catafalco al centro del palco, ma no, non ha senso che sia l’asta del microfono …. Dunque che sarà mai ?
Nessun gruppo spalla (decisione forse un po’ impopolare a fronte dei 20,00 euro del biglietto d’ingresso), così verso le 22,45 le luci calano e Blackie Lawless e compagnia fanno il loro ingresso, la stramba architettura che aveva destato le mie curiosità viene scoperta e si manifesta per quello che è ossia … si, proprio “l’asta del microfono”. Il termine asta a dir la verità è improprio, con essa i W.A.S.P. manifestano insospettati interessi anatomici, si tratta infatti di una colonna vertebrale incurvata, con cranio, ossa incrociate, forse qualche femore … il paradiso della protesi. Tutto rigorosamente in metallo.
Lasciamo perdere questi fronzoli e passiamo allo show, il concerto inizia con un
Madley che comprende “On Your Knees” e “Inside The Electric Circus”.
Subito dopo questo primo pezzo sono tutti impazziti, anzi, dall’inizio del pezzo, i musicisti ventenni (però per la seconda volta) sembrano eccitati come ragazzi che fanno il loro primo concerto e saltano come dei forsennati da tutte le parti. Alla fine del secondo pezzo si capisce lo scopo reale di quel gigantesco ammasso di ossibuchi che sta la in mezzo al palco, Blackie ci sale sopra e si mette a dondolare da una parte all’altra (e nella mia testa dopo lo stupore è venuta la preghiera … “chissà che non cada sennò è la volta che lo perdiamo”). Peccato non aver le foto di tutto ciò (non è stato concesso il pass), ma siate fiduciosi ci saranno nel report del concerto di Milano.
Il pubblico non ha più una volontà, sembrano tutti stregati da questo personaggio con i capelli nero corvino che urla in continuazione tanto da domandarsi se sia un indemoniato, poi rifletti e giungi alla conclusione che non è posseduto da alcuno spirito perché il demone è lui stesso.
Il resto del gruppo è ottimo, il bassista Mike Duda va a coinvolgere direttamente il pubblico praticamente urlandogli in faccia e passando metà del tempo a stringere mani, il batterista Stet Howland sembra un fabbro nella sua fucina tanto sbatte, l’altro chitarrista Darrel Roberts purtroppo è spesso coperto dall’infame colonna prima menzionata, ma dimostra comunque buone capacità ed estro.
Il suono non è affatto male, grosso ed avvolgente, ma nella zona posteriore del locale la chitarra del senza legge non si sente molto, ma tutto sommato poco importa. I pezzi in scaletta guardano spesso al passato, ma danno anche attenzione a tempi più recenti, tra i brani spiccano “Wild Child”, “The Real Me”, “L.O.V.E. machine”, “Animal” e “The Idol”, si, hanno proprio fatto “The Idol” evento raro.
Ad un certo punto salutano e se ne vanno, ma è veramente presto e di fatti poco dopo rientrano (he he, dicevo io che mancavano “Blind In Texas” e “Chainsaw Charlie) ed eseguono “Blind In Texas”. Fine.
Ma come? Basta così?
Purtroppo si, il concerto è durato poco più di un’ ora a mezzanotte e dieci siamo tutti fuori a goderci la brezzolina che porta ancora un’ accenno degli odori del mare, quasi romantico finché il naso frigido mi manda a dire
“MUOVITI IDIOTA, APRI LA MACCHINA CHE CI SONO – 200 GRADI”.
Report a cura di Lorenzo Canella
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