Che la band di Biff Byford stia vivendo in questi anni quasi una seconda giovinezza è ormai risaputo, ed a testimoniarlo abbiamo le numerose date live di cui si è resa protagonista nel recente passato, in seguito ad un album come “Lionheart” che ha dato nuova linfa vitale alla interminabile carriera di questo storico gruppo.
“The Inner Sanctum” segna il ritorno alla batteria di Nigel Glockler, tornato all’ovile dopo aver lasciato il posto a Fritz Randow prima e Jörg Michael poi, ed il risultato dell’ultima fatica della band inglese è come sempre heavy metal allo stato puro, radicato nella tradizione NWOBHM che ha dato tanto successo ai Saxon, ma che porta elementi più moderni, evoluzione dell’ottimo predecessore di tre anni fa.
Partendo dalle atmosfere mistiche dell’accattivante “State Of Grace”, si ha la dimostrazione di quanta passione il quintetto metta nel comporre certi brani, ogni volta con l’inconfondibile marchio della band eppure sempre in grado di entusiasmare i propri fan. E dev’essere questo uno dei segreti del loro successo, Biff e compagni sembrano sapere sempre esattamente quello che vuole il loro pubblico. La frenetica cavalcata di “Need For Speed” (che non ha nulla a che fare col famoso videogame), dà modo a Nigel Glockler e Paul Quinn di esprimere tutte le loro qualità ai rispettivi strumenti, senza dimenticare ovviamente la leggendaria voce di Biff.
Il gruppo non lascia un attimo di respiro, perchè anche la seguente “Let Me Feel Your Power”, che si muove su ritmi velocissimi e riff taglienti si candida a competere con gran parte dei classici che lo hanno reso famoso. Dopo un avvio “a cannone” a spezzare il ritmo ci pensa l’ottima midtempo “Red Star Falling”, cantanta con la solita passione dal carismatico Biff, che regala un atmosfera quasi live ad un brano che è difficile togliersi dalla mente una volta ascoltato.
A seguire l’inno “I’ve Got To Rock (To Stay Alive)”, che incarna secondo me alla perfezione quello che la musica rappresenta per questi cinque musicisti: con lo stesso immutato impegno di oltre due decadi e mezzo fa, questo brano ci riporta infatti ai tempi di “Strong Arm Of The Law” e “Denim & Leather”.
Il singolo “If I Was You”, pur non essendo uno dei pezzi migliori di questo lavoro è comunque una canzone piacevole nello stile della band d’oltremanica, mentre la successiva “Going Nowhere Fast”, sempre potente e diretta, ricorda in certe sonorità qualcosa a metà tra AC/DC e UDO, seppur tutto sempre interpretato in chiave Saxon.
“Ashes To Ashes” deve molto al precedente album, eccezion fatta per il buon chorus piuttosto orecchiabile, mentre la breve strumentale “Empire Rising”, con presagi inquietanti annuncia quello che è il brano più lungo del disco: “Atila The Hun”. Quest’ultima alterna parti lente con un suono quasi orientaleggiante a cariche di potenza che ben si adatterebbero all’arrivo di orde di barbari all’attacco, mentre il lungo intermezzo centrale riprende la traccia precedente, di fatto spezzando in due la canzone, altro brano che andrà ad aggiungersi alla lunga lista di successi della band.
Forse non allo stesso livello del disco precedente, “The Inner Sanctum” è certamente un disco che piacerà ai fan, composto da alcuni ottimi brani destinati a rimanere nella memoria e da canzoni più dirette ma non per questo meno interessanti, esattamente quello che ci si aspetta da un lavoro dei Saxon di oggi. Del resto la band si muove ancora sulle ali dell’entusiasmo portato dai numerosi consensi e dal ritrovato equilibrio degli ultimi tempi, che ha dato nuova ispirazione sia in fase di composizione che per quanto riguarda il songwriting.
Auguriamoci che possa essere così ancora per molto tempo.
Recensione di Marco Manzi
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