I Sovran sono una band di Taranto da anni sulla scena italiana, fautori di un hard rock non troppo velatamente ispirato ai Motorhead di Lemmy. Questa “The Collection” non è altro che l’unione dei lavori prodotti fin ora dalla band pugliese, partendo dal promo “Secret Agent” di quest’anno e andando a ritroso fino al demo tape “Black Rock” del ’98, registrato prima del temporaneo scioglimento l’anno seguente.
Buone le ritmiche di “Secret Agent”, che apre la raccolta con un sound diretto e riff di piacevole ascolto (a far da contorno a delle linee vocali abbastanza pulite ma comunque aggressive), a cui segue “Roadkill” che è un rifacimento di “Master of Violence”, migliorata sia come ritmo e sonorità che come qualità. Spicca poi tra le altre canzoni anche “Cobra”, brano interessante in cui la voce del singer Sovran si fa più roca senza però arrivare ai livelli del mitico Lemmy (lo stesso nella successiva “T.U.R.B.O.” con risultati un po’ più bassi, pur con una buona base con la batteria di Rudy e le chitarre di Necros e Anthon). “Hooligans” (registrata comunque con volume piuttosto basso) si apre con un brano di musica classica, per poi lasciar spazio ad una buona canzone, in cui il cantato rispetto all’anno seguente (ricordo che il disco va dalle produzioni più recenti alle passate) è più pulito, il ritmo è semplice e basato su pochi riff ancora in stile Motorhead. Sullo stesso stile è la seguente “Sovran”, che prende il nome del leader della band.
Da qui in poi le canzoni sono quelle del demo tape, con una registrazione piuttosto pessima, al punto che se il lavoro fosse stato registrato in una grotta probabilmente il suono avrebbe avuto una qualità migliore… Ma a parte questi “dettagli” qui abbiamo le radici vere e proprie della band, in cui oltre ai Motorhead si sente più forte l’influenza di gruppi come i Venom, passando dalla vecchia e più grezza versione di “Master of Violence”, alla più lenta “Metal War”, e “Lake of Blood”, da cui compaiono spunti interessanti, a partire dagli assoli di chitarra, nonostante la caoticità della produzione (penso che più fatto in casa di così si muore). Il disco si chiude infine con il brano che ha dato il titolo all’esordio, “Black Rock”, ma data la qualità veramente orribile l’unica cosa che si sente abbastanza chiaramente è la chitarra, che pur mostra già un buon livello agli albori della band, mentre il brano si chiude con un altro stralcio di lirica.
Sarebbe stato opportuno registrare nuovamente i vecchi lavori, dato che passando di disco in disco la qualità della produzione è progressivamente peggiore, fino ad arrivare ad una accozzaglia di rumori che si fondono fra loro senza riuscire a distinguerli. Perciò dovendo dare un giudizio sull’intero lavoro direi che è più che sufficiente per quanto riguarda la prima parte, ma assolutamente da rivedere nei confronti della produzione più datata. Globalmente per questo motivo non mi sento di consigliare questo disco, ma consiglio invece se vi piace questo genere di ascoltarvi, magari anche solo per curiosità, almeno gli ultimi due demo.
Per maggiori informazioni sulla band: sovran.altervista.org
Recensione di Marco Manzi
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