Questo gruppo dal nome un po’ stravagante è ormai in giro per le scene musicali dal lontano 1991 e quest’anno si ripresenta al pubblico con un nuovo disco.
L’opening track “Writing’s On The Wall” inizia con un’effetto abbastanza strano, ma che ben funge all’introduzione del pezzo. Il brano verte su sonorità hard rock, il riff principale di chitarra di per se stesso non dice poi molto, anche a causa di un suono un po’ troppo pastoso. Buoni i fill di batteria che spezzano sapientemente il tempo ed ottima la linea vocale che da profondità al pezzo, pur non essendo spettacolare il timbro della voce.
Giustamente “Stargazer” è un pezzo trasognato, caratterizzato da una composizione piuttosto “ariosa” (con tocchi pop rock) con alto carico di riverberi e riecheggianti gorgheggi di una chitarra in secondo piano. Pezzo un po’ atipico per nulla spiacevole all’ascolto, ma distante dalla concretezza della traccia precedente.
“One Step Closer Away” intristisce notevolmente i toni nelle strofe, che risultano alla fine i tratti più incisivi rispetto a bridge e ritornelli più aperti e non proprio riuscitissimi.
“Oceans” si caratterizza per sonorità che continuano a distaccarsi dall’hard rock per dirigersi verso un rock radiofonico composto, arrangiato e suonato discretamente, dai toni medi e dalla scarsa incisività.
“Luxuria” riaccende l’attenzione per il taglio esoticheggiante delle melodie e per la (relativa) cattiveria del riff portante delle strofe e (anche se in misura minore) del ritornello. Il pezzo, senza la necessità di cambi di tempo e simili artifizi, slitta verso il prog rock.
Con “Overload” ritroviamo un bel po’ di genuinità (limitata per lo più alle strofe), cosa che era stata ampiamente tralasciata dopo la fine della prima traccia.
Dopo una “Coming Back Again”, che riprende i toni misteriosi di “Luxuria”, senza mantenerne la rabbia, troviamo un altro pezzo a metà tra il radiofonico e la canzone da colonna sonora del film “Notting Hill” (o similari).
In seguito al brano spolverato di sonorità prog che è “Empty Glass” si presenta “Wishing You Would Stay”, brano mediamente malinconico ed intenso, con dei tratti spiazzanti in cui la voce femminile, che si aggiunge a quella dl singer principale, canta in apparente disaccordo col tema del brano creando un effetto particolare.
La traccia conclusiva è la title track del cd e si apre con un sitar, accompagnato da una chitarra acustica, il resto del pezzo propone anche altri suoni “inconsueti” ed anche a livello compositivo si tratta di un pezzo inconsueto, molto frammentato e spesso slegato. Al terzo minuto circa si apre una sezione più coesa e troviamo anche un ben riuscito assolo di chitarra, sui toni del blues che porta il brano alla sua conclusione.
Sicuramente si tratta di un disco un po’ particolare collocabile genericamente nel rock. Vi si trovano svariate sperimentazioni, lodevole cosa da un lato, ma dall’altro questi tentativi non sempre sono ben riusciti, le tracce più significative infatti sono quelle più “standardizzate”.
Recensione di Lorenzo Canella
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