Hardcore made in USA, esattamente da New York dove esiste una vera e propria scena con un
proprio stile che la distingue dal resto degli States, le influenze poi sono molteplici. Sicuramente
al primo ascolto si riconosceranno inconfondibili riff ripescati dalla fiorente scena Bay Area anni
'80, ma in più occasioni si possono trovare anche influenze punk. Il trio in questione è all'attivo da
ben quindi anni, il debutto risale al 1990 con l'omonimo "Biohazard".
Nel corso degli anni la band affina la tecnica e trova un suo stile, il che la porta ad un certo
livello, in modo particolare nella madre patria dove riscuotono numerosi consensi.
Tuttavia questo nuovo "Means to and End", qualitativamente parlando, più che un album pare
un'altalena, si parte con una devastante "My Life Ma Way", per poi passare a "The Fire Burns
Inside" dove il cantato di Evan Seinfeld perde decisamente di mordente, assumendo toni quasi
irritanti.
La situazione migliora decisamente in "Killing to Be Free" dove Seinfeld riesce a tirar fuori tutta la
sua rabbia repressa, la canzone in sé, così come la successiva "Filled With Hate", in più occasioni
richiama nel riffing un sound molto vicino ai Pantera. Mentre in alcuni casi, come nel solo di
"Filled With Hate" si risentono comunque le influenza che la scena thrash statunitense ha avuto
sui membri del combo.
La situazione comincia di nuovo a precipitare con "Devotion",
canzone che in sé non trasmette niente, se non la voglia di premere il tasto di avanzamento
veloce dello stereo, dove ci si trova davanti ad una canzone ("Break IT Away") che ai primi
ascolti potrebbe risultare anche orecchiabile, ma che in breve è destinata a finire nel
dimenticatoio.
Le restanti tracce si muovono tutte su questa scia, fatta eccezione per "To the Grave", anche se il
cantato spesso assume sfumature quasi insopportabili.
Buono il lavoro di chitarra di Graziadei, mentre il suono della batteria risulta troppo anni '80, il
ché di per sé non sarebbe un male se non fosse che non centra niente con il resto degli
strumenti.
Recensione di Paolo Manzi
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