Terza uscita discografica sotto l’etichetta Relapse per questo gruppo americano formato da Bill Kelliher e Brann Dailor, ex membri dei Lethargy, fautori di una miscela letale di hardcore e death metal.
Si parte subito alla grande con Blood And Thunder, una bella mazzata in puro stile hardcore con cantato di Hines e Sanders che sfiora il death, e con dei riff veramente assassini dei chitarristi Hines e Kelliher, per non parlare di quella macchina schiacciasassi del drummer Dailor. Segue a ruota un’altra mazzata sonora, I Am Ahab, scandita da un incedere poderoso della batteria e delle chitarre, e da un cantato più pulito rispetto al precedente, per non parlare del mastodontico lavoro del bassista Sanders. Un solo di chitarra introduce Seabeast e subito agli occhi dell’ascoltatore appare la scena del lento incedere di una “bestia marina” che si avvicina per attaccare. Il ritmo è scandito da una batteria a volte sincopata ma a volte potentissima, da un micidiale lavoro di chitarre e basso ma anche da un cantato che varia dal grunge al quasi growl. Si ritorna alla violenza inaudita con Island, scandito da un ritmo talmente violento che farebbe scatenare un pogo stile Slayer.
Tutti gli strumentisti qui si producono in un lavoro d’insieme talmente micidiale ed assassino da non lasciare speranza alle orecchie del povero ascoltatore. Ottimo il solo centrale di chitarra da parte di Hines e Kelliher. È il drummer Dailor ad introdurre Iron Tusk prima che le chitarre irrompano con tutta la loro potenza. In questo pezzo il cantato di Hines si barcamena tra Hardcore e Death. Un inizio tranquillo, scandito da batteria e chitarre introduce Megalodon, pezzo che poi si articola in vari momenti che vanno dal mid tempo più classico a delle improvvise sfuriate che ricordano i bei vecchi tempi del thrash della Bay Area (Slayer e Testament fra tutti).
A questo punto un bel solo chitarristico introduce Naked Burn, con la voce di Hines che stavolta sembra voler imitare lo stile degli Alice In Chains. Inutile ribadire che il pezzo è scandito dall’ottimo lavoro di basso e batteria, che dettano i tempi al resto della band. Un solo di chitarra stile AC/DC apre le danze dell’ottava traccia Aqua Dementia, seguito dall’incedere poderoso della batteria, dal micidiale lavoro dei chitarristi ed infine dal cantato quasi death di Hines , che riescono a tessere un ritmo che definire assassino sarebbe riduttivo
. Un raro esempio di violenza sonora. Una solo di chitarra che affiora quasi in sordina introduce la nona traccia Hearts Alive, il pezzo più lungo di tutto l’album (ben tredici minuti e trentanove secondi) in cui il lavoro del bassista Sanders si sente in maniera più che evidente. Dopo il bell’intro strumentale il ritmo comincia lentamente a farsi sempre più pesante e roccioso, tanto da creare nell’ascoltare quasi una sensazione di attesa per cosa possa accadere. Il ritmo nei primi minuti si mantiene molto sincopato e per certi versi si discosta dallo stile degli altri, non fosse altro per il cantato di Hines che, a parte qualche sfuriata tipicamente death, si mantiene molto pulito. Ottimo il lavoro del resto del gruppo che riesce a tessere un tappeto sonoro stupendo che fa scorrere il pezzo senza alcuna difficoltà e lo rende molto orecchiabile. Un solo molto dolce di chitarra introduce Joseph Merrick, ultima traccia ed anche unica ballad strumentale dell’album che si trascina attraverso un ritmo sincopato che il drummer Dailor ed i chitarristi Hines e Kelliher si spartiscono da buoni amici. Dato che a Giugno avranno l’onore di suonare al Gods dopo gli Evergrey, spero vivamente che riescano a trasmettere anche in sede live l’energia che dal disco chiaramente traspare.
Recensione di Donato Tripoli
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