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Asgard - "Outworld" (My Graveyard Productions/***)

Line up:

Federico “Mace” Mazza: voce
Alberto “Albi” Penoncini: chitarra
Davide “Dave” Penoncini: chitarra
Renato “Reno” Chiccoli: basso
Rudy Mariani: batteria
 

voto:

9
 

recensione

Sembra proprio che il 2013 non sia ancora stanco di regalarci capolavori MA, dopo l’uscita in questione, la ‘veggo buia’ per chicchessia riuscire ad oscurare un’uscita di tale spessore ed intensità…
No, non è l’indovinello del secolo, ora ve lo dico che si tratta del secondo album targato Asgard, rilasciato sempre per l’infaticabile My Graveyard, a due anni di distanza dal sublime “The Seal Of Madness”, raro e sfavillante fulmine a ciel sereno, che ha permesso al quintetto estense di farsi conoscere dentro e fuori dallo Stivale.
Ma, quindi, se il disco d’esordio è risultato essere un masterpiece inatteso, ora che è svanito un certo effetto sorpresa, come faranno gli Asgard di “Outworld” a bissare il successo del 2011?
Semplice (per loro!): lavorando e perfezionando il songwriting (che, per quanto mi riguardava era già una “O” di Giotto) e scrivendo quindi nove pezzi senza cedimenti e di una qualità talmente superiore da risultare “imbarazzante”.
Non che gli Asgard abbiano applicato un adesivo sulla custodia del cd con la frase “Ci scusiamo preventivamente per essere incredibili”, anzi, ci prendono gusto a spazzare le nostre orecchie in lungo e in largo, vanificando la qualifica e gli studi di tutta l’otorinolaringoiatria.
Sì, mi sto perdendo in chiacchiere perché, una volta di più, non ho le parole adatte per descrivere i qui presenti quarantuno minuti primi da record mondiale, vi basti premere il vostro tremante indice per approcciare “Spirits”, apripista al fulmicotone e vetrina per la sfolgorante prestazione di Federico “Mace” Mazza, vocalist d’eccezione e consolidato trademark Asgardiano.
La successiva “The Interceptor” corre sugli stessi binari di “Spirits”, un assalto frontale Speed/Power, impreziosito dall’esecuzione magistrale e compatta di Rudy Mariani, macchina da guerra dietro le pelli, rafforzato per tutta la durata della maratona “Outworld” dal fido Renato “Reno” Chiccoli, questa volta valorizzato al 100% da una registrazione a dir poco impeccabile, la quale eleva le pulsazioni del suo basso al meritato grado di udibilità.
I Penoncini Bros., Albi e Dave, si mettono in mostra scambiandosi convenevoli a non finire, soprattutto nelle tracce più variegate quali “Sound Of Shadows”, (nella quale Mace fa letteralmente quel che vuole) piuttosto che ergendo solidi muri come in, scusate il gioco di parole, “Wall Of Lies”, anch’essa dotata di una linea vocale che se fosse stata contrassegnata con una simpatica zucca teutonica, a quest’ora si forgerebbe dell’appellativo di “classico”, assolo lampo compreso.
Ah certo, dimenticavo, a chi, non sapendo a cosa appellarsi per la consueta “critica all’italiana”, li aveva tacciati di semplicità e tamarraggine nelle liriche di “The Seal Of Madness”, invito a leggere i testi di “Outworld”, incentrate su storie di mondi paralleli, tra antico passato e futuro apocalittico, ottimo esempio della fantasia dei Nostri cinque diamanti ferraresi. Sin dall’artwork di spessore infatti, tra Rettiliani, piramidi e “L’Occhio che tutto vede”, realizzato addirittura da Mark Wilkinson (Marillion, Iron Maiden, Europe e chi più ne ha, più ne metta!), si intravede una crescita tematica notevole rispetto alle pur esaltanti rime della scorsa fatica discografica.
Procedendo con l’analisi traccia per traccia, “Riot Angels” non è altro che una scheggia impazzita da incrinamento delle vertebre cervicali, per arrivare a “The Night Hawk”, dove il Mazza ci regala anche una tonalità media, new entry nel suo impressionante range, che rende la composizione sinistra al punto giusto.
Purtroppo, siamo in dirittura d’arrivo, ma lo stupore di certo non si esaurisce, infatti “Cyber Control”, assalto on-your-face di una violenza disarmante, che ricorda l’intransigente Speed di un altro pianeta, proprio dei capostipiti Agent Steel, fulgido esempio di saper trarre il massimo dalle proprie corde di musicista, focalizzandosi su ciò che si riesce meglio a fare, nel caso degli Asgard quindi, menare fendenti curandosi di perpetrare una micidiale “Vae Victis” corazzata d’acciaio inox.
La chiosa di “Marry The Widow”, introdotta da un arpeggio in clean, è una song dal sapore epico e strutturato (come accennato prima per “Sound Of Shadows”), con l’accelerazione ormai tipica del sound made in Asgard, che mostra l’ennesimo ritornello azzeccato e trascinante, ottimo per essere dato in pasto ai leoni delle arene live.
Per vostra fortuna, io ho quasi terminato, rendendomi di nuovo conto che gli Asgard peccano in due aspetti rilevanti, che presumo anche loro non si possano perdonare, ovvero quelle di essere nati come gruppo, nel tempo (anni 2000) e nel luogo (senza sminuire le bellezze di Ferrara!) sbagliati. Mi spiego meglio, infatti, non ho timore di smentita nell’affermare che i due capitoli della saga finora scritta dai cinque emiliani, se fossero stati vergati, putacaso, in Germania negli anni ’80, ora non staremmo certo parlando di una realtà underground ma, di un consolidato “headliner” del Power/Speed.
Ciò non toglie che le mie elucubrazioni mentali contino come il due di picche, anche alla luce del fatto che possiamo godere sia di “Outworld” che delle lancinanti prestazioni on stage degli Asgard senza doverci accalcare con altri trentamila scalmanati, non esitate ad accaparrarvi entrambi i lavori di questo gruppo che ci rende orgogliosi di essere Heavy Metal Maniacs, ma questa cosa non c’è bisogno che ve la dica io, vero?


Recensione di Alessio Aondio

tracklist

  1. Spirits
  2. The Interceptor
  3. Sound Of Shadows
  4. Outworld
  5. Wall Of Lies
  6. Riot Angels
  7. The Night Hawk
  8. Cyber Control
  9. Marry The Widow

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