Tre anni sono già trascorsi dall’uscita di “Underwater Bells”, fulgido esempio di Prog Metal made in Italy, ma il percorso dei Revoltons prosegue senza guardare troppo indietro.
Già dal titolo infatti, “386 High Street North: Come Back To Eternity”, che contiene l’indirizzo del celebre pub Ruskin Arms, da più di trent’anni punto di riferimento per gli headbangers londinesi (oltre che seconda casa per gli allora imberbi Iron Maiden), si evince che la band di Pordenone, pur mantenendo trame progressive, ha snellito il proprio sound, guardando più ai classici del genere Heavy.
Dopo le dovute intro, “Jeremy Bentham” (nome che dirà qualcosa agli appassionati della fortunata serie tv “Lost”), esplode con tutta la potenza della quale le chitarre di Alex e Matt Corona sono capaci, seguita a ruota da “Blood Of Skynet” (e liriche questa volta debitrici della saga di “Terminator”), song sostenuta dall’ottimo refrain del dotato vocalist Andro, già in grande spolvero nei lavori precedenti.
“Souffle De Vie” è un soave intermezzo eseguito in francese da Francesca Sanavro, utile per introdurre la semi-title track ed il suo mood malinconico ma dinamico, grazie all’accelerazione della batteria, affidata all’ultimo arrivato in famiglia Revoltons, ovvero Elvis Ortolan.
Un album cangiante ma dalla riuscita amalgama per tutta la sua durata e, nonostante un lieve cambio stilistico, veritiero esempio del Revoltons style, un gruppo che ha da sempre guardato con occhio vigile due aspetti della propria creazione: gli arrangiamenti e le melodie, racchiuse in perfetto connubio in brani quali “The Ancient Dragon”.
Se l’orecchiabilità non è il punto focale nemmeno di “386 High Street North: Come Back To Eternity”, va dato atto all’intelligenza produttiva del quintetto friulano, il quale fa della banale scontatezza un nemico primario, da combattere a suon di ragionate partiture, oltre che ad un’espressività innegabile, accentuata dalle varie parte acustiche suonate dai Corona e sottolineate dalla prestazione di Andro.
Sul finale dell’album, non mancano ancora episodi più sostenuti, vedi “Sharpened Fog” o la poderosa “Chameleon”, costruita su un solido riffing, che si qualifica come punto più aggressivo del lavoro, in netto contrasto con la seguente tristezza di “London Again”.
“Nagual Touch” chiude in bellezza il quarto full length, dei Revoltons, realtà che, come spesso accade, trovano più apprezzamenti all’estero che in patria, nonostante la perpetua evoluzione dimostrata nel corso degli anni, se non credete alle mie parole, ascoltatevi il seppur riuscito tentativo “Dream Theateriano” di “Space And Time Reflex”, vecchia traccia inedita, e confrontatelo con un pezzo attuale…
I Revoltons, sicuri delle proprie scelte vanno avanti per la propria strada, una strada senza buche e dissestamenti di sorta!
Recensione di Alessio Aondio
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