I Red Blood Hands, nella loro line-up attuale, si formano nell'inverno 2000 tra le
montagne della provincia di Sondrio, con l'intenzione di proporre qualcosa di nuovo
oltre al classico hardcore che i membri suonavano nelle rispettive precendenti
bands.
Dopo un buon debut album, "8 Spots on a Withe Mind" uscito nell'estate 2002, il
combo valtellinese pubblica questo nuovo "In the Space of Seven Breaths". La band
che agli inizi si era presentata con un potente hardcore-punk aggiunge una forte
componente metal, saggiamente miscelata ad un urlato che si avvicina ma non sfocia
mai nel calssico scream delle band death / black metal. Il risultato è ottimo, un album
molto vario che da una base hardcore sfocia quando meno ce lo si aspetta in riff
thrash violenti e taglienti facendo riecheggiare nelle orecchie dei più nostalgici i
vecchi Slayer, sebbene non troppo palesemente e senza mai rinnegare la matrice
punk-core delle origini.
L'album si articola in sette brani tra cui i più interessanti sono senza dubbio la opener
"Sill Psychosis", "Rigor of Beauty" che si apre con un leggero rullio di tamburi per poi
travolgere l'ignaro ascoltatore con un hardcore potente, che si alterna a parti più
tranquille dove si può apprezzare la voce pulita del singer Andrea. Vera perla di tutto
l'album è comunque "Breaking the (gravity) Low", sicuramente il pezzo più metal di
tutto l'album e probabilmente anche il più tecnico.
A "living a Trail" spetta il compito di chiudere il lavoro, la voce di Andrea si tramuta in
scream, cosa che non avveniva negli altri brani. Molto interessante l'outro, integrata
nell'ultimo brano dove ad un calmo infrangersi di onde si sovrappone un malinconico
arpeggio di chitarra. La quiete dopo la tempesta.
Anche la produzione è su ottimi livelli, cosa non da poco se si considerano sia i mezzi
che la provenienza della band. Oltre all'ottimo lavoro vocale del singer vanno
ovviamente citati gli altri tre membri che dimostrano di saperci fare partendo dalla
chitarra di Fabio, passando al basso di Emanuele fino alla pelli e soprattutto alla cassa
di Marco. Consigliato a chi vuole dare una violenta scossa ai propri timpani assuefatti
dalla monotonia musicale alla quale ci ha abituati il mercato degli ultimi tempi.
Recensione di Paolo Manzi
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