Con "Mare Decendrii" si apre ufficialmente la caccia al disco più bello del post-Isis, valutando tutti i nuovi progetti che, da qui a questa parte, siamo sicuri pioveranno a catinelle. Mamiffer è la band dove si è rifugiato il membro forse più rappresentativo dello storico quintetto, ovvero il cantante-chitarrista Aaron Turner, qui però vincolato alle scelte della vera mente in questione, sua moglie Faith Colaccia. Tutto infatti è in mano sua, dal completo movimento artistico all’uso della strumentazione e delle voci, insomma il povero Aaron è poco più che uno speciale guest all’interno di questo personalissimo disegno dell’amata consorte. Avevamo gia avuto modo di conoscere questa creatura con il precedente "Hirror Enniffer", sappiamo quindi di non trovarci di fronte a nessun marchio di fabbrica isisiano, ma, al contrario, ad un viaggio ambient-sperimentale molto intimo e libero di spaziare nei campi che preferisce. Dimentichiamoci quindi i chitarroni, qui il pianoforte si prendere prepotentemente la scena, contornato dall’uso di synth, sporadici violini e qualche percussione sparsa qua e là, dando amplio spazio all’atmosfera e alle visioni di un universo racchiuso nella mente di Faith, fattore che, a nostro avviso, tende a penalizzare la resa dell’intero ascolto. Qui si vuole portare l’ascoltatore dentro il disco e non il contrario, scelta non nuova e che neanche propriamente sbagliata se si gestisse al meglio il ponte tra le due parti, ma il tutto sembra gestito con una certa freddezza e senza la minima pretesa che venga compreso e metabolizzato da chi sta dall’altra parte. Nulla da dire sotto il profilo tecnico sia chiaro, "Mare Decendrii" è realizzato in maniera ottimale e sottolinea una certa preparazione musicale (e spirituale) sopra le righe della signora Turner, ne sono una prova brani come "As Freedom Rings" e "We Speak In The Dark", maestosa composizione di oltre 20 minuti che viaggia in lande inesplorate e lontane da tutto ciò che al giorno d’oggi possa scalfire un’arte così sublime come la musica, quello però che appunto manca è il, chiamiamolo così, coinvolgimento totale dell’ascoltatore in questo pellegrinaggio cosmico. Da questo punto di vista abbiamo preferito il predecessore "Hirror Enniffer", molto più ingenuo e semplice, senza la benchè minima pretesa. Album del genere non sono comunque mai facili da descrivere e da presentare a un orecchio estraneo, ascoltatelo e traetene le vostre conclusioni, la qualità è totalmente relativa.
Recensione di Thomas Ciapponi
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