Se sul fronte Death SS non ci sono più novità da quando è uscito il live all’Italian Gods Of Metal del 2008, è da dire che il buon Steve Sylvester non se n’è stato certamente con le mani in mano in questo periodo, dando vita a due progetti con degli ex di lusso della sua band madre. Il qui presente “Work Of God United Entertainment” nasce sotto l’egida del nome Opus Dei, ma viene ostacolato poco prima della data d’uscita dall’omonima organizzazione religiosa per non meglio precisati e presunti contenuti diffamatori nei confronti della stessa, la quale impone alla band il ritiro immediato delle copie già presenti sul mercato e diffida dal procedere con la distribuzione del disco. I tempi, di conseguenza, si allungano ed arriviamo fino ad oggi, quando il progetto nato originariamente come Opus Dei esce nei negozi col nome di W.O.G.U.E. e l’album porta il titolo che svela l’acronimo dietro al quale si nascondono, come già detto, alcune vecchie glorie del metal italiano.
Bene, fatte le dovute presentazioni, è doveroso dire che il primo disco di questo gruppo non si staglia più di tanto su coordinate metal, quanto più su un rock gotico/industriale e figlio delle sperimentazioni elettroniche degli anni ’80. Non è un mistero che il buon Steve sia un fan di questo tipo di musica, visto che essa ha più volte fatto capolino nei brani dei Death SS, ma oggi questa passione può essere tranquillamente espressa senza paura di fare un torto ai fan dello storico gruppo italiano. Fa comunque strano vedere nelle foto di copertina Steve struccato ed in abito elegante, visto che eravamo soliti avvistarlo nei suoi vestiti di scena e tramite il personaggio del vampiro, ma all’interno dei W.O.G.U.E. il suo approccio vocale rimane assolutamente invariato con un cantato dark e tremendamente oscuro, in linea con la proposta musicale del quintetto. Bellissimi brani come “Shock Me” e la successiva “Hold Me, Touch Me, Heal Me” (omaggio a “Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me” degli U2), veri highlight di un disco che non mancherà di far discutere i fan di Steve Sylvester per il suo allontanamento dal metal, ma che, se preso per quello che è, sfiora quasi il capolavoro senza però pretendere di esserlo. Peccato aver dovuto attendere così tanto per un album del genere, se ne sentiva decisamente la mancanza.
Recensione di Andrea "Thy Destroyer" Rodella
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