I Decrepit Birth del 2003 erano dei ragazzi emergenti con ottime doti, decisi a tutto pur di dimostrare che la scena death old school era viva e pronta a farsi sentire più forte che mai. Nel 2008 la prima mutazione, si iniziano a sentire le evidenti ovazioni all'operato del techno death e in particolar modo a quello del gran maestro Chuck Schuldiner, creando un'ottima fusione di quelle due diverse scuole americane tanto da mettere il nome Decrepit Birth sulla bocca di qualsiasi deathsters in circolazione. Siamo nel 2010, giunti al terzo capitolo della loro carriera discografica, il trio californiano subisce un'ulteriore metamorfosi, abbandonando completamente il sound pesante e oppressivo dell'esordio per lasciarsi sopraffarre a pieno regime dal proprio lato progressive. "Polarity" dunque potrebbe essere l'ipotetico primo capitolo di un nuovo percorso musicale, che inizia in maniera molto dignitosa c'è da dirlo, ma c'è da dire anche che dopo diversi ascolti, il connubio tradizionale-progressivo di "Diminishing Between Worlds" inizia a mancare, e soprattutto c'è da chiedersi se al giorno d'oggi si abbia ancora bisogno di un'ennesima band-tributo a quel nome sacro che è Death. Piacevole, e forse anche qualcosina di più, risulta comunque l'intero ascolto, che fin dall'opener "(a Departure Of The Sun) Ignite The Tesla Coil" fa capire che i tempi sono cambiati: la melodia prende il sopravvento alla potenza, la scuola Schuldiner viene riprodotta per filo e per segno senza sbavature, trovando in Matt Sotelo un eccellente esecutore ben delineato sulle parti solistiche, che sovrastano definitivamente quelle ritmiche ampliamente usate in passato, prova ne sono le eccellenti "Solar Impulse", la strumentale "Sea Of Memories" e la titletrack stessa, forse le più vicine a riesumare quelle sonorità sensazionali andate perse dopo un certo "The Sound Of Perseverance". A non convincere sono invece il barbuto frontman Bill Robinson e il suo growl che, complice il passaggio radicale del sound, sembra stonare rispetto alla sezione strumentale. Le sue qualità erano decisamente più adatte in passato, ora purtroppo il suo ruolo tende ad essere marginale e poco in vista, in certi pezzi viene praticamente accantonato per favorire il libero sfogo degli innumerevoli assoli presenti.
Riordinando le carte è dunque giusto ammettere che l'ispirazione c'è, la qualità esecutiva c'è e a palate, quello che manca è una certa esclusività che poteva avere un suono come quello del predecessore, che nonostane le diverse influense designava un idea musicale strettamente personale, senza cercare di rendere troppo omaggio a quel mai troppo compianto musicista. Tuttavia lo ribadiamo, l'ascolto è molto piacevole e la sua non eccessiva durata aiuta a godersi questi 38 minuti di techno death suonato veramente bene, caratteristiche che dovrebbero invogliare l'acquisto dell'album a qualsiasi amante del death di classe che si rispetti.
Recensione di Thomas Ciapponi
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