I napoletani Endorphine, dopo sei anni di lavoro che hanno portato alla realizzazione di due demo, portano alla luce quello che è il loro primo full-lenght, composto da nove tracce, tra cui troviamo, opportunamente riarrangiate, “Endorphine” e “Unleashed Godmind”, pubblicate già su “Godmind”, il secondo demo della band. Il disco è composto da una sapiente e originale fusione di generi che vanno dal trash più moderno, al death, al gothic, con linee melodiche e parti acustiche che assemblano caratteristiche di gruppi come Nevermore e Opeth.
L'album si apre con una breve intro, seguita da “One Day”, in cui è possibile riconoscere l’influenza dei Nevermore. Molto valida è “Endorphine”, dall’atmosfera oscura e con buoni riff di chitarra, buono è il cantato in growl, caratteristica quest’ultima più della successiva “Makin’ Me Bad” in cui si alternano parti di trash veloce a parti death in un ritmo incalzante. Particolare è l’andamento di “A World Outside” con varie accelerazioni e tratti più lenti ed ancora il cantato a volte pulito e a volte in growl, che pervade di aggressività il brano. Altra ottima canzone è “My Breath Away”, molto ben eseguita tecnicamente e che racchiude in sé diverse soluzioni realizzando secondo me una buona sintesi di quello che è lo stile della band. Potente e nervosa è la successiva “A New Yourself”, tagliata dal suono distorto delle chitarre, più tranquilla (eccetto nel finale), nonché originale e molto tecnica è invece “Unleashed Godmind”, mentre l’album si conclude con la titletrack, traccia dalle tinte più cupe che solo quando la voce si fa più cattiva assume quei tratti più aggressivi che caratterizzano in generale l’intero lavoro.
Nonostante il cambio di chitarrista durante le registrazioni, con l’entrata di Alessandro Martinelli a sostituire Alberto Fiore, questo disco rappresenta sicuramente una piacevole sorpresa all’interno del panorama metal italiano, tra tanti gruppi che incontrano enormi difficoltà ad emergere sembra proprio che questo quintetto napoletano abbia invece le carte in regola e possa in qualche modo dire la sua.
Recensione di Marco Manzi
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